Il volto è indubbiamente la parte più espressiva ed “esposta” del corpo, l’unica a non poter essere coperta, almeno per la cultura occidentale. È una parte di noi la cui singolarità è data dal particolare combinarsi dei molti piccoli elementi che lo compongono: le labbra, gli occhi, il colore della pelle, il naso, le ciglia. È proprio l’insieme, il mix, a renderci unici, singolari. Per questo é interessante riflettere su questa finestra che abbiamo sul mondo esterno.
Il volto ha un ruolo speciale: fa da conduttore, veicolo di socialità. Esprime le emozioni che sentiamo, ci connette con gli altri.
È con lo sguardo, in particolare, che si incontra chi viene in contatto con noi, comunicando accoglienza, rigidità, imbarazzo, seduzione… il prisma di potenziali emozioni che volontariamente o involontariamente trasmettiamo sollecita vicinanza o distanziamento, determinando la reazione, quindi la “risposta emotiva”, dell’interlocutore.
È un’aspirazione antica quella di capire il segreto di uno sguardo malizioso, severo, rigido o sognante… un filo rosso che consente di immedesimarci con i nostri più antichi antenati. Perché lo hanno fatto i poeti, i musicisti al pari di ciascuno di noi, nel nostro piccolo e in ogni fase della vita.
Il volto, in questo senso, diventa il nostro ineludibile “biglietto da visita”, verso l’esterno e verso noi stessi. È quanto accade ogni giorno quando ci guardiamo allo specchio: il volto riflesso è importante nel definire l’identità, il senso del sé.
Il volto comunica emozioni e sentimenti. Sono le espressioni – indipendentemente dalla nostra volontà – a trasmetterli e renderli evidenti. Lo sguardo, in particolare, palesa il nostro sentire, anche profondo, che sia di rabbia o di interesse, di sdegno o di felicità, ma soprattutto la presenza o l’assenza di un’armonia interiore. È per questo che si sente dire che il volto “tradisce”, superando finzioni autoimposte o tentativi di mascherare la tristezza, come la gioia, in modo immediato. Risulta difficile governare o nascondere quanto si sente profondamente.
Ogni età, in questo senso, specchia nel volto le proprie complessità. Pensiamo all’acne adolescenziale, con il quale devono confrontarsi giovani e giovanissimi, o le rughe e i segni dell’età che spesso crucciano i più grandi.
Il volto in sé può quindi essere motivo di disagio, amplificando quanto osservabile su una superficie relativamente ristretta come quella del volto. Tutto questo si collega indissolubilmente al piacersi, e quindi al piacere, che nel volto trova il primo elemento su cui l’attenzione propria e altrui si sofferma e insiste.
La particolarità del percepire negativamente il proprio volto risiede nel fatto che oltre al sentire emotivo interiore, l’attenzione si concentrerà sul coprire quanto percepiamo come difetto. Diventerà quindi molto difficile sorridere, aprirsi agli altri, per farci conoscere. La cura di sé potrebbe essere un modo per superare questa complessità. Una coccola per sé stessi che abbraccia e rinforza la dimensione fisica e psichica, una “giusta cura”, per piacersi, in primis, e quindi per piacere anche agli altri.
Ma già dotarsi del sorriso è un primo piccolo ma fondamentale gesto che ciascuno di noi può fare. Perché il volto parla anche attraverso il sorriso, contagioso e ricco di allure.
Elargirlo migliora il nostro stato d’animo, anche quando dobbiamo “disegnarlo” perché ci sembra di non avere la forza o la voglia di sorridere spontaneamente: è comunque un buon esercizio, come amo ripetere ai miei pazienti. Consente di percepirsi diversamente allo specchio e quindi, di conseguenza, dentro di sé.
Un volto sorridente mette di buon umore chi lo “indossa” e chi lo riceve, predispone e crea empatia. La cura di sé, il valorizzarsi attraverso una ritualità quotidiana, del resto, non è mai mera vanità o frivolezza, bensì un atto di responsabilità necessario per stare bene con sé e con gli altri.